Scritto da: Adriana De Nichilo
In questo periodo di incertezze e apprensione per gli sviluppi della pandemia di Covid-19, ognuno di noi, in qualsiasi parte del mondo si trovi, è costretto a vivere la propria casa in maniera totalizzante. C’è chi riscopre il proprio balcone che magari non usava da anni per prendere il sole o per leggere (ad esempio io) oppure chi per la prima volta utilizza la sua piccola scrivania come postazione di lavoro quotidiana, altri ancora hanno modo di godere appieno del proprio giardino che trascuravano da tempo.
La casa, da punto di appoggio di una vita frenetica, è improvvisamente diventata la protagonista delle nostre giornate. Il nostro sguardo critico ne mette a fuoco pregi e difetti che magari fino a quel momento davamo per scontati. Ad esempio, chi di noi non ha pensato “certo che questa stanza è davvero poco illuminata”, “questo appartamento in affitto è davvero claustrofobico”, o al contrario “sono proprio fortunato ad avere un ampio terrazzo”, “che sollievo avere una bella vista verso le montagne”.
Abbandonare momentaneamente la frenesia del mondo esterno potrebbe dunque aiutarci a rivalutare l’idea di casa come rifugio, un luogo raccolto dove poter svolgere sia attività ludiche che lavorative. Alcuni artisti e architetti hanno progettato gli ambienti domestici a partire da queste esigenze, cercando di renderli il più possibile aderenti alle necessità quotidiane, sia del corpo che dell’anima.
Il primo esempio che vi voglio presentare è quello della casa studio di Peter Zumthor, uno tra gli architetti contemporanei più riconosciuti al mondo. Il punto di forza della sua casa risiede nella semplicità spaziale e formale. Gli ambienti sono distribuiti su due piani, uno dedicato ad abitazione, l’altro a studio di architettura. L’accesso avviene dal fronte nord, quasi completamente cieco; la vista privilegiata guarda a sud dove sono presenti il giardino e la zona ricreativa all’aperto. A questo proposito è lo stesso Zumthor a dire:
“I like working near a long wall that keeps the area behind me clear and protected. I always find it a luxury and a privilege just to sit alone in the room by the long wall, working, looking at the cherry trees, seeing the children at play. The spot gives me a feeling of ease, of strength”.1
La casa è concepita allo stesso tempo come guscio protettivo e cannocchiale verso l’esterno. Anche durante la quarantena possiamo immaginare che l’architetto riesca a trovare una serena concentrazione e concedersi alcuni momenti di distrazione spostando lo sguardo verso l’esterno. L’esposizione verso sud inoltre favorisce un’illuminazione naturale costante sia d’estate che d’inverno.
Le sensazioni positive trasmesse dalla spazialità interna della casa sono accentuate anche dall’uso di materiali locali. La modernità si traduce quindi in una fusione tra il minimalismo delle forme e l’uso di materiali organici: il legno di larice per il rivestimento esterno, le tegole rosse per la copertura. La fotografa Hélène Binet, della quale riporto due fotografie, è riuscita a cogliere e immortalare l’armonia e l’equilibrio tra l’edificio e il contesto montano.
Non tutti dispongono di una casa su due piani con ampio giardino, ma non per questo devono rinunciare al benessere che l’ambiente domestico può offrire. Se spogliamo la casa degli elementi non essenziali arriviamo all’existenz minimum, lo standard minimo per l’uomo, ben rappresentato dal progetto del Petit Cabanon di Le Corbusier.
Affascinato dal paesaggio della costa azzurra, l’architetto progetta nel 1951 a Roquebrune-Cap–Martin un capanno di soli 15 metri quadrati come luogo di villeggiatura per sé e per la moglie. A breve distanza dal capanno sorge la villa E1027 progettata nel 1926 da Eileen Gray. Le sperimentazioni artistiche della Gray sono state fonte di grande ispirazione per Le Corbusier (non escludo di dedicare in futuro un articolo a questo tema).
Rispetto ad un classico appartamento per vacanze, nel Petit Cabanon lo spazio ad uso privato viene fortemente ridotto e alcuni servizi come la cucina e la zona pranzo vengono ospitati dall’Etoile de Mer, il ristorante-caffé adiacente al capanno. Per rendere ancora più diretto il collegamento tra il cabanon e il bar l’architetto fa realizzare sulla parete a sinistra dell’ingresso una piccola porta.
La pianta dell’alloggio è costituita da un quadrato di 3,66×3,66m a cui si aggiungono una piccola toilette e un corridoio di accesso. Le Corbusier prende spunto dalle cabine per passeggeri delle navi da crociera e rispetta il Modulor, la scala di proporzioni a misura d’uomo da lui inventata.
Gran parte degli arredi ha forma cubica e può assolvere a più funzioni. Ad esempio il letto funge anche da contenitore per lenzuola e coperte; gli sgabelli, posizionabili sia in verticale che in orizzontale, possono essere usati non solo come sedute ma anche come scalette da pittore. La colonna lavabo ospita dei ripiani e un lavabo sospeso in acciaio inox con tubazioni a vista. Queste soluzioni che per noi del ventunesimo secolo potrebbero sembrare banali, risultavano decisamente innovative per gli anni ’50 del Novecento.
Non manca poi l’attenzione al dettaglio: il tavolo di forma romboidale presenta sul piano un disegno definito dall’accostamento di tessere in legno di noce tagliate di testa, l’appendiabiti è costituito da elementi di forma organica. L’ambiente è reso dinamico e vivace dal colore delle pannellature a soffitto e dai murales realizzati su alcune superfici e sulle ante interne delle finestre. La posizione delle aperture è studiata per offrire una vista privilegiata verso il mare anche quando si è seduti al tavolo da lavoro. Grazie alle due finestre strette e lunghe, posizionate sul fronte nord e sud, viene garantito il benessere bioclimatico e una buona ventilazione.
All’esterno, sotto l’ombra di un carrubo, è stato ricavato uno spazio semi-pubblico dalle molteplici funzioni sempre legate alla vita domestica: una zona fornita di sedie e tavolino dove era possibile sostare e scrivere, un’altra dotata di vasca da bagno per la toeletta mattutina.
In generale, da questo progetto possiamo dedurre che una vita spartana, legata alla natura e ridotta all’essenziale, sia anche lo specchio dei valori e delle scelte di vita di un celebre architetto come Le Corbusier. Egli ha dato prova di saper coniugare la funzionalità e le esigenze contingenti con l’aspetto estetico ed emozionale dell’architettura.
Già a partire dall’inizio del Novecento, i bisogni dell’uomo moderno si sono tradotti in una nuova cultura abitativa, che ha trovato ampia diffusione grazie all’architetto Walter Gropius e alla scuola del Bauhaus. Lo scopo della scuola era quello di portare l’innovazione tecnologica nel campo dell’edilizia e del design, proponendo un’architettura razionale in grado di minimizzare i costi e migliorare la qualità di vita.
I valori e le caratteristiche di questo nuovo modo di costruire possono essere considerati validi ancora oggi e sono rintracciabili in tutti gli edifici della contemporaneità. Qui di seguito riportiamo le parole di Gropius:
“The New Architecture throws open its walls like curtains to admit a plenitude of fresh air, daylight and sunshine. Instead of anchoring buildings ponderously into the ground with massive foundations, it poises them lightly, yet firmly, upon the face of the earth; and bodies itself forth, not in stylistic imitation or ornamental frippery, but in those simple and sharply modelled designs in which every part merges naturally into the comprehensive volume of the whole. Thus its aesthetic meets our material and psychological requirements alike”.3
Le case degli insegnanti della scuola del Bauhaus sono un esempio concreto delle teorie sulla nuova architettura: al centro della riflessione c’è sempre il benessere fisico e psicologico dell’uomo. Ciò significa che una corretta progettazione architettonica degli ambienti domestici può procurare benefici considerevoli soprattutto in periodi di forzata permanenza a casa come quello che stiamo vivendo.
L’aspetto esterno della casa di Paul Klee e Wassily Kandinsky, nelle sue geometrie pure e prive di ornamenti, mette in evidenza la tecnologia costruttiva a secco basata sul sistema a travi e pilastri che consente di ricavare ampie finestre in facciata e balconi di grande profondità.
La chiarezza formale esterna si ritrova anche negli interni dove le stanze presentano forme regolari e di dimensioni proporzionate all’attività da svolgere. Se all’esterno prevale il bianco per le facciate alternato al nero per i serramenti, gli interni sono tinteggiati con colori che vanno dalle tonalità pastello ai colori primari, accostati in maniera interessante. Ad esempio nella casa dove alloggiavano Paul Klee e Kandinsky il soggiorno presenta un pavimento scuro che contrasta con le pareti in rosa chiaro, nel vano scala i diversi elementi che compongono la scala sono evidenziati con colori diversi.
Come sappiamo l’uso dei colori può influire sul benessere interno della casa; in questo caso, oltre a rompere la monotonia degli ambienti, il colore era probabilmente studiato anche per creare sensazioni simili a quelle trasmesse da un quadro.
La casa può trasmetterci un senso di intimità non solo per come è costruita e organizzata ma anche per come è arredata al suo interno. Gli oggetti che trovano spazio nelle nostre case possono essere fonte di ispirazione per varie attività.
Possiamo pensare a Frida Kahlo, grande pittrice del Novecento che ha trasformato l’ambiente domestico in una casa-atelier. La sua casa natale è situata a Coyoacán, all’epoca un quartiere periferico di Città del Messico. Si tratta di una magione coloniale in stile neoclassico, battezzata Casa Azul per il vivace colore azzurro degli esterni; dopo la morte di Frida e del marito Diego Rivera, la loro abitazione è stata trasformata in una casa museo dove sono raccolti ed esposti al pubblico non solo i dipinti ma anche gli oggetti che facevano parte della vita quotidiana dei due artisti.
Casa Azul è il luogo dove Frida nasce e muore, dove si consumano i suoi drammi interiori ma anche l’ambiente dove riflette sui temi politici e sociali del Messico postrivoluzionario. Dopo le seconde nozze con il marito, Frida si trasferisce definitivamente a Casa Azul; fa sostituire gli arredi tradizionali della casa con colorati mobili in legno e si circonda di oggetti legati alla cultura precolombiana: dalle sculture ai gioielli, dagli oggetti di artigianato ai retablos popolari. Scorci della vita domestica sono immortalati non solo nei dipinti dell’artista ma anche in numerose fotografie e scritti che sono stati ritrovati dopo la morte dei coniugi. Le fotografie la ritraggono nel giardino della casa, con i suoi familiari o con gli animali domestici ai quali era affezionata.
Due anni fa ho visitato una mostra a lei dedicata presso il Museo delle Culture a Milano e sono rimasta molto colpita e emozionata dalla narrazione del suo percorso artistico attraverso i quadri, le fotografie e alcuni suoi scritti. Se mai avrò modo di viaggiare in Messico mi piacerebbe fare visita agli ambienti che hanno ospitato le vicende personali dell’artista, intrecciate inevitabilmente a quelle storiche del suo paese.
Vorrei concludere dicendo che in questo viaggio tra le case di architetti e artisti mi sono affidata alle mie sensazioni e conoscenze. Non escludo di dedicare un altro articolo a questa tematica, magari a partire da qualche vostro suggerimento.
Alla prossima!
Note:
1 P. Zumthor, Buildings and Projects Volume 1, a cura di Thomas Durisch, Scheidegger & Spiess, 2014, pag.23
2 Fotografie di Hélène Binet tratte da P. Zumthor, Buildings and Projects Volume 1, a cura di Thomas Durisch, Scheidegger & Spiess, 2014
3 W. Gropius, The new architecture and the Bauhaus, MIT Press, 1965, pag.43-44
4 Immagine tratta da Frida Kahlo Oltre il mito Catalogo della mostra (Milano, 1 febbraio-3 giugno 2018), a cura di Diego Sileo, 24 Ore cultura, Milano, 2018